Per chi non ama le vele d’epoca il nome Te Vega non suscita nulla, ma per chi ha la passione del mare nel sangue, come il sottoscritto, rappresenta un’icona d’ammirare e forse venerare.
La sua storia risale all’inizio del secolo scorso, quando la nautica da diporto era agli albori e le barche venivano commissionate da ricchi magnati e gentleman con la passione del mare e della vela. Varata dai cantieri tedeschi Krupp di Kiel nel 1930 con il nome di Etak, per l’americano Walter Ladd, veleggiò inizialmente tra le isole del Caribe e le coste atlantiche degli USA, poi allo scoppio della seconda guerra mondiale fu requisita dalla US Navy ed adibita, col nome di USS Juniata, alle previsioni ed emissione di bollettini meteorologici per l’oceano Pacifico, con base a San Diego in California.
Finita la guerra fu ceduta a dei privati che la utilizzarono, negli anni cinquanta, per effettuare dei charter in Polinesia ed alle Hawaii dove venne ribattezzata Vega e poi successivamente Te Vega, data l’ammirazione che suscitava nei nativi polinesiani che utilizzavano il suffisso Te, equivalente al nostro Oh, quando la incrociavano.
All’inizio degli anni sessanta, il Te Vega navigò prevalentemente nei Caraibi: da St. Kittis a Tobago ed a Grenada per crociere e vacanze. Nel 1963 venne acquistato dalla Stanford University per ricerche oceanografiche. Nel 1972 passò alla Flint Sailing School che però chiuse l’attività nell’80 e la cedette ad un privato olandese che la affittò alla Landmark School, con la quale il Te Vega navigò prevalentemente facendo rotta su Sampietroburgo, in Russia.
Nell’89 un ex allievo della Flint School riportò la barca negli Stati Uniti e successivamente venne acquistata, nel 1991, dall’ex proprietario del gruppo Parmalat, Callisto Tanzi.
Volendo riportare Te Vega alla sua condizione originale, il nuovo armatore commissionò il restauro al Cantiere Beconcini di La Spezia, con la supervisione dello Studio Giorgetti e Magrini. Desiderando l’armatore utilizzare il Te Vega per lunghe crociere, la ristrutturazione, pur mantenendo il ricordo dello stile e delle tecnologie originali, fu indirizzata ad ottenere una barca comoda e funzionale, aggiungendo nuove dotazioni tecniche nella parte che riguarda il motore.
In origine venne progettata come una goletta ma poi fu armata come uno schooner americano, dotato di due alberi, quello di maestra di oltre 40 metri e quello di mezzana di circa 35 metri. Le vele sono auriche e non le classiche “triangolari” fino in testa d’albero, ma tronche con un picco che le sorregge e con contro fiocco issato sulla penna, tipica caratteristica che distingue gli schooner americani dall’armo a goletta di tipo europeo.
Rispetto ai velieri della sua epoca, Te Vega era stato già concepito con criteri d’avanguardia, con le due drizze delle rande comandate da una coppia di verricelli, a motore elettrico, e due campane per cazzare contemporaneamente le doppie drizze di picco e di gola e ridurre quindi gli sforzi dell’equipaggio. I due alberi di 40 e 35 metri, sono quelli originali in spruce, così come il bompresso lungo ben 9 metri. La struttura degli interni non è stata modificata e si possono ancora ammirare i mobili e le paratie in ciliegio, i pasquette in mogano ed i soffitti bianchi a doghe, che offrono ancora un’idea dell’atmosfera d’epoca rispettando uno stile sobrio ed allo stesso tempo pratico.
Il veliero, dopo le note vicissitudini giudiziarie che hanno visto coinvolto Tanzi nel crack finanziario Parmalat, fu abbandonato all’incuria nel porto di La Spezia fino a quando, tre anni fa, il patron delle Tod’s, Diego Della Valle, lo acquistò dal curatore fallimentare riportandolo al suo antico splendore. Speriamo che in futuro questa fantastica barca possa solcare ancora i mari di tutto il mondo, destando stupore ed ammirazione, come ai tempi aulici dei viaggi in Polinesia.
Non sono d’accordo sul fatto che sia stata “abbandonata all’incuria nel porto di La Spezia”..!!! Sono stato imbacato sul “Te Vega” per 6 anni, dal 1998 al 2004 e sono stato uno degli ultimi a sbarcare!….Non è vero che era lasiata all’incuria!!!! Senza soldi per la manutenzione e soprattutto senza stipendi da piu di tre mesi, noi dell’equipaggio cercavamo di fare il possibile per salvaguardre il tutto, dalle vernici alle vele, dalla sala macchine alla testa d’albero!… e non abbiamo mai avuto danni rilevanti come invece hanno avuto nell’estate 2009 con un pico rotto nonostante la continua manutenzione ela ”messa a punto” da parte del sign. Della Valle, il quale ha rovinato gli interni facendo pitturare il ciliegio di bianco, mettendo schermi piatti ovunque e sostituendo le cime a legnuoli ,classiche delle barche d’epoca, con cime in spektra, classiche delle barche moderne!!!! Cambiando il nome è stata messa la ciegina sulla torta per rovinare la storia di una vecchia signora dei mari!!!
Speriamo che questo sia solo un caso isolato e che nessun’ altra imbarcazione d’epoca subisca quest’influsso di modernità che tanto piace a chi di barche poco capisce!!!!
Ciao Graziano e benvenuto nel nostro blog. Non era cento mia intenzione addossare colpe sull’equipaggio del Te Vega che si è prodigato sino all’ultimo per mantenere in ordine la barca.
Tuttavia quando l’armatore di un gioiello simile non paga gli stipendi e non mette mano al portafoglio per le manutenzioni ordinarie mi risulta difficile pensare che una barca d’epoca possa essere mantenuta al top, con la sola volontà ed amore di chi vi ha navigato per anni. Sulle modifiche attuate dal nuovo proprietario non posso fare altro che prenderti in parola dato che non ho nessun riscontro in tal senso.
Buon Vento
Marco