Da sempre l’uomo ha cercato di competere con se stesso cercando di superare gli elementi naturali che ci circondano o i limiti delle forze naturali e della fisica. Nel mondo dello sport dell’era moderna è iniziata la sfida degli atleti ai “cosiddetti record” e non più solo contro i rivali o avversari del momento.
Oggi non si assiste ad una competizione sportiva col solo intento di vedere chi vince, ma anche di chi batte il record in quella categoria, che sia indifferentemente di: velocità, lunghezza, peso, tempo, profondità, altezza, non importa, l’importante che si possa dire: “il primato del mondo è stato battuto”, nel superamento di un limite sempre più in là del precedente e nella ricerca di una continua sfida alla dimensione spazio temporale dove abbattere ogni limite o legge della fisica nota è l’unico scopo.Col progresso tecnologico e medico scientifico si è arrivati al paradosso di concepire l’essere umano al pari di una macchina, col solo intento di ricavarne sempre e maggiori prestazioni, talvolta anche a discapito della salute degli stessi atleti, che si sottopongono, consapevoli o no, a vere e proprie sedute di “doping terapia”.
Nella vela il doping non può, o meglio, non dovrebbe esistere, poiché ciò che fa la differenza è il mezzo su cui si naviga e non tanto la “forza” fisica dell’equipaggio, ma semmai altre doti atletiche come il coraggio, la determinazione, l’intuito e soprattutto l’esperienza che ancora oggi l’uso del doping non favorisce né aumenta.
Non potendo dopare gli atleti, nella vela, gli armatori cercano di esasperare i mezzi, realizzando scafi che poco o nulla hanno a che vedere con una barca spinta dell’elemento eolico. E’ il caso dei Francesi dell’Hydroptère, che detiene il record di velocità a vela sui 500 metri con 50,36 nodi/h, e del Macquarie Innovation un tripode con profilo alare rigido.
Francamente non credo che di questi mezzi si possa parlare in termini di vere e proprie barche dato che gli stessi costruttori li definiscono “foil”, cioè ali che servono ad alleggerire o far letteralmente “volare” sull’acqua lo scafo, il cui unico scopo è quello di tenerle unite. In poche parole non si vuole navigare nell’elemento marino, ma al disopra di questo, limitando il più possibile ogni contatto e resistenza idrodinamica dell’acqua, lasciando solo parte delle ali immerse.
Niente a che vedere coi trimarani o catamarani impegnati in altre competizioni veliche, anche se il principio è più o meno simile, dato che questi ultimi devono affrontare ogni condizione di vento e mare, superando burrasche e depressioni che, alle volte, sono molto dure e mettono alla prova la resistenza allo stress dello scafo e degli equipaggi, in autentiche competizioni veliche.
A parte la nota critica sul mondo dei “foil”, i cui record servono a poco e solo a pochi, credo che la ricerca estrema di materiali sempre più performanti, utilizzati in questi tentativi di primati mondiali, possa comunque portare dei benefici indotti anche al mondo della natica da diporto, dato che non vi è modo migliore per testare un componente in condizioni di sforzo e fatica quale quelle dei record di velocità a vela. Pertanto il mio motto è :”allez vous plus vite, c’est mieux pour nous”