E’ stato uno degli eventi clou del Salone Nautico di Parigi 2012, eppure lo Stand Up Paddle è uno sport acquatico ancora poco conosciuto in Europa. Nelle isole Hawaii (dove è conosciuto come Hoe he’e Nalu) si pratica questa attività fin dagli anni ’60, quando dei ragazzi della spiaggia di Waikiki usavano pagaiare sulla tavola da surf in posizione eretta con l’ausilio di un lungo remo.
Forme primitive di questo sport sono raccontate nei diari del capitano James Cook che vide degli indigeni navigare su lunghissime tavole di Koa in posizione eretta. Altri attribuiscono gli albori del SUP, sempre secondo la testimonianza di Cook, a riti polinesiani.
Il successo dello Stand Up Paddleboarding sta nella non facilità di apprendimento delle manovre e il carico di allenamento molto intenso. Ecco perchè, sebbene non sia molto popolare, è un sport che si è diffuso in tutto il mondo. Diverse sono anche le varianti, come il Beachboy Surfing legato all’arte della fotografia e il River SUP’ing che affronta le rapide e gli ostacoli dei fiumi.
Svolgendosi in piedi, diventa fondamente saper regolate la lunghezza del remo. Secondo l’opinione di diversi esperti la pagaia dev’essere lungo almeno 30 cm in più rispetto all’altezza del paddler. In commercio si trovano remi in alluminio, in genere telescopici e quindi regolabili, oppure in fibra di carbionio.
In italia questo sport, anche se in ritardo, sta prendendo piede e riscontrando l’interesse di molti surfisti e windsurfer. A Livorno proprio in questi giorni è iniziato il primo Campionato Italiano Stand Up Paddle Wave mentre in varie città italiane già si tengono corsi dedicati (Ancona, Lucca, Livorno, Verona, Oristano, fiumicino, Palau).
La tecnica fondamentale riguarda la postura in direzione della tavola, mantenere il baricentro basso abbassando le ginocchia e la schiena. Con gli allenamenti è riscontrabile un miglioramento della tonicità della muscolatura motoria e un maggiore benessere psico-fisico derivante dal contatto diretto con l’acqua.