Si sa che da una decina di giorni nel mondo della nautica l’unico argomento, oggetto di discussione, è quello che riguarda la nuova tassa di stazionamento, inserita nel cosiddetto decreto “Salva Italia”.
Molti sono stati i commenti contrari e certamente pochi quelli favorevoli se non consideriamo la massa dei soliti “invidiosi” che per indole, assoggettano tutti i proprietari di barche, non importa la dimensione od il valore intrinseco, alla stregua della “casta” e dei nababbi multi milionari.
In realtà, da operatore del settore ed esperto di nautica e fisco, la tipologia della nuova imposta mi lascia alquanto perplesso. L’art. 16 del Decreto parla, infatti, di “tassa di stazionamento” che deve essere calcolata su base giornaliera in rapporto alla sosta od alla permanenza di una imbarcazione da diporto nelle acqua territoriali italiane.
Da una prima lettura di questo famigera proveedimento sembrerebbe che tutte le imbarcazioni, a prescindere dalla bandiera che battano e quindi della nazionalità, siano soggette a questa nuova imposizione fiscale. Se così fosse sarebbe una cosa veramente assurda dato che un prelievo simile avrebbe come prima conseguenza l’effetto di allontanare, dalle acque territoriali, migliaia di barche straniere che invece regolarmente sostano nei porti e nelle marine italiane, soprattutto nel periodo estivo.
Il vantaggio andrebbe tutto a favore della nautica da diporto francese, croata, o greca che vedrebbero triplicare l’afflusso di barche nei loro porti. Inoltre i grandi mega yacht, quelli dei nababbi per intenderci, sarebbero i primi a varcare le acque territoriali italiane. Costoro, visto che possono contare su equipaggi fissi, potranno benissimo sostare all’estero per la maggior parte del tempo e restare in Italia solo per quei pochi giorni di una breve crociera e così pagare la tassa solo in ragione di quei pochi giorni di sosta e non invece per tutti i 365 gg. dell’anno.
Se così fosse sarebbe una sciagura solo per quei numerosissimi piccoli proprietari che, per ragioni di vicinanza ed economiche, non possono certo permettersi il lusso di tenere una barca in un porto estero, mentre i veri “evasori” sarebbero incentivati ad starsene in “acque” tranquille e detassate.
Al contrario se il tributo fosse applicato ai soli possessori di barche con bandiera italiana, cosa che avrebbe certamente più senso e sarebbe in linea con quanto accade in altri paesi europei, il vantaggio comparato sarebbe solo per quelli che hanno barche immatricolate in altri extra UE, mentre chi già possiede una barca con bandiera francese paga comunque una tassa annuale sul possesso ( Le Droit de Francisation ).
La terza via sarebbe quella di far pagare la tassa a tutti i cittadini residenti in Italia e possessori di un’imbarcazione, a prescindere dalla bandiera sotto la quale questa è stata immatricolata. In questo caso però ci sarebbero delle problematiche inerenti ai trattati europei, in vigore tra gli stati membri, sul regime delle doppie imposizioni.
Infatti, dette convenzioni prevedono che se una medesima situazione giuridica, sulla quale grava una stessa imposta o anche imposte diverse vengono a gravare più volte sul medesimo soggetto, a causa del verificarsi di un unico presupposto su cui si sostanzia l’obbligazione tributaria ( dunque, in presenza di un’unica circostanza fiscalmente rilevante viene ripetuto due o più volte il prelievo a carico dello stesso soggetto), deve essere applicata una sorta d’esenzione a carico del contribuente che ha già onorato il prelievo fiscale a prescindere dallo stato di appartenenza.
Per evitare l’insorgere di tale inconveniente, il legislatore ha dettato specifiche disposizioni in tema di imposte dirette nel D.P.R. 917/1986 -art. 163- e nel D.P.R. 600/1973 -art. 73-. Tali norme si caratterizzano per l’identica formulazione, che vieta la doppia imposizione per la salvaguardia del principio di equità, al quale deve essere sempre improntato il prelievo fiscale.
Il fenomeno della doppia imposizione è stato assai frequente nei rapporti tra Stati dal momento che sovente gli stessi davano rilievo fiscale e consideravano presupposto d’imposta anche il fatto che un loro cittadino avesse un bene posto in altro Paese straniero, come sarebbe nel caso delle barche di cittadini italiani con bandiera francese o UE.
In ambito UE, peraltro, sono state emanate specifiche direttive comunitarie, al fine di impartire disposizioni univoche cui devono attenersi gli Stati interessati al fine di evirare la doppia imposizione fiscale. Molto probabilmente è per questo che il Governo italiano ha deciso impropriamente di definire questo tributo come “Tassa di Stazionamento” e non tassa sul possesso del bene al fine di evitare proprio l’insorgere di contenziosi sulle doppie imposizioni da parte di contribuenti che già pagano la tassa in altri paesi UE.
Aspettiamo con ansia le direttive sulle modalità di pagamento che verranno emanata dall’Agenzia delle Entrate in questa materia così sapremo definitivamente che morte morire, ahimè!
Ancora irrisolta la questione della misurazione della barca ai fini della tassa. La lunghezza è il fuori tutto come dicono alcuni o i dati del libretto della barca (Norma Ce)?
Ciao Antonio,
si, la lunghezza da prendere in considerazione è il fuori tutto, ma molti sperano che il governo possa basare il calcolo sulla lunghezza reale dello scafo, come avviene già altrove, in Francia ad esempio. Fino all’ultimo, purtroppo, non è detto. Il governo si è preso tempo e fino a maggio possono cambiare molte cose.