Il “Lupo” di mare ed il Ragioniere “Schettino”


Nella mia vita, oramai quasi ventennale, da skipper semi-professionista ho conosciuto moltissimi comandanti, marinai e uomini di mare, in genere. Molti di questi erano dei veri “Lupi di mare” , gente che in solitario attraversava gli oceani, altri ottimi professionisti, sia del diporto che della marina mercantile, molti normali navigatori e pochi, per fortuna, pessimi marittimi.

Essendo stato formato, a livello marinaresco, in Bretagna, dove il mare è per sua natura sempre “cattivo”, sono abituato a gestire situazioni difficili e per me la sicurezza in mare non è solo una prescrizione generica, ma un vero e proprio dogma. In Bretagna nessun marinaio giudica mai gli altri,  perché l’unico ed il solo obbiettivo di chi esce in mare, è quello di rientrare in porto con tutto l’equipaggio e con la propria imbarcazione, sia che si tratti di un’immensa nave cargo, che di una minuscola barca a vela di pochi metri.

Nel naufragio della Costa Concordia, ora spiaggiata, come una balene agonizzante, davanti alla diga foranea di Giglio porto a causa di una sciagurata e criminale “rotta” del suo comandante Schettino, ciò che più mi colpisce è proprio l’atteggiamento tenuto da quest’uomo durante le fasi del soccorso ai naufraghi.

Se inizialmente i dubbi sul comportamento tenuto dal comandante della Concordia erano delle flebili illazioni, visto che alcuni sostenevano che lo stesso avesse abbandonato la nave prima ancora che tutti i passeggeri fossero saliti sulle scialuppe o tratti in salvo dai soccorritori, dopo aver ascoltato la telefonata, intercorsa tra Schettino ed il comandate della Capitaneria di Porto di Livorno De Falco, è chiaro che responsabilità del capitano sono nette ed inequivocabili e lo condannano moralmente prima ancora che giudizialmente.

Al di là del contenuto intrinseco della telefonata quello che emerge chiaramente, dal concitato dialogo tra i due ufficiali, è l’aspetto psicologico dello “sventuratoSchettino. Da una parte c’è un “duro” militare d’accademia che ordina al suo interlocutore di riprendere il comando della sua nave e  delle operazioni e con esse, forse, anche la dignità e l’onore dell’uomo di mare; dall’altra parte c’è un comandante da “cinepanettone”, – sicuramente adatto al ruolo per un remake di Natale sul Nilo -, che con il fare puerile dello scolaretto scoperto a copiare cerca di giustificare il suo comportamento, impenitente, con risposte incomprensibili e pleonastiche del tipo: “c’è buio e non posso risalire a bordo”, “ la scialuppa si è guastata”,ma quante persone sono morte?” ecc.

Se non fosse per la tragicità dell’evento ci sarebbe da scrivere uno nuovo copione comico degno del miglior ragionier Fantozzi in crociera, l’uomo che per antonomasia ha fatto della mediocrità l’emblema di vita, ma purtroppo le conseguenze sono pesanti ed il bilancio di vite umane intollerabile.

Mi chiedo solo se un tale fatto, comprensibilmente traumatico a livello psicologico, possa trasformare tutti i cosiddetti “Lupi” di mare in anonimi ragionieri della vita che antepongo l’istinto di sopravvivenza ai propri doveri di professionali di comandanti di navi, ai quali è stata affidata la responsabilità e l’incolumità di migliaia di persone.

La risposta certamente non può essere scontata, dato che bisogna provare a vivere tali situazioni per poter avere una certezza univoca, certo è che i dirigenti della Costa Crociere farebbero bene a  riflettere e ponderare seriamente sulle modalità di selezione e formazione del proprio personale di bordo, il quale, se nella stragrande maggioranza ha saputo reagire in modo adeguato all’evento funesto, ha clamorosamente fallito nel suo vertice più alto ed unico: il Capitano, ingloriosamente fuggito dalla “sua” nave, prima ancora che dalle proprie responsabilità e doveri morali, puntualmente sottolineati da “Lupo” De Falco con una frase storica che resterà emblematica nel ricordo di questo naufragio: “Vada a bordo, cazzo”

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