Lo sviluppo tecnologico dei materiali ha portato, in pochi anni, una radicale inversione nel modo di concepire la barca a vela e l’andare per mare in generale, tendendo a facilitare al massimo le manovre e la conduzione di una barca con poco equipaggio o magari anche in solitario.
Di conseguenza i progettisti si sono adeguati alla moda disegnando scafi dove si prova ad unire tutto il meglio possibile e coniugando: il confort di bordo, gli accessori, la facilità di manovrabilità con equipaggio ridotto, le prestazioni veliche e doti di navigabilità per lunghe traversate.
Oggi vediamo nelle marine degli scafi con linee di carena estreme, tughe basse, poppe aperte, armi super tecnologici in materiale composito, come se quasi tutti gli armatori dovessero fare regate su regate o partecipare a manifestazioni internazionali.
Sia ben chiaro non ce l’ho coi progettisti né tanto meno chi vuole barche super performanti da regata, dato che amo moltissimo le imbarcazioni contemporanee, solo mi chiedo che cosa se ne faccia il diportista medio di uno scafo simile, dato che al massimo lo usa una o due settimane all’anno?
Certo ognuno è libero di spendere i soldi come vuole, solo che la moda genera imitazione e fa tendenza e così anche cantieri tradizionali, che da sempre costruivano “gusci” marini, robusti e abbastanza confortevoli ma certamente non da regata, oggi si sono “inventati” progetti d’avanguardia “kulturale” realizzando barche assurde e senza senso.
Com’è possibile vedere pubblicizzati modelli da 34 piedi, con armi da competizione, 3 cabine doppie, magari anche doppio bagno spacciandoli per barche facili, velocissime, adatte alla regate ma allo stesso tempo alla crociera ed alle traversate oceaniche, il tutto a prezzi di saldo?
Non credo questo possibile e neanche corretto da parte di chi deve produrre mezzi marini atti ad affrontare il mare, che molte volte non è quello che si trova quasi sempre ad agosto in Mediterraneo, e proporre caratteristiche non veritiere solo per rincorrere una moda.
Ho sempre pensato che la vela ed il mare in generale non siano per tutti, ma allo stesso tempo neanche per pochi, e questa non è una contraddizione in termini, poiché io considero la vela come una disciplina sportiva che richiede capacità, esperienza, spirito d’adattabilità, autocontrollo e voglia di faticare.
Sono convinto che chi va per mare in barca a vela non deve credere di avere un barca con le prestazioni di una da coppa America, con la facilità di manovra di una deriva, con il confort di un “ferro da stiro” e con la robustezza di chiglia per girare gli oceani, come il Joshua di Moitessier.
Spero che in breve tempo sia i velisti che i costruttori si rendano conto dell’assurdità di questa moda, virando, verso una rotta più simile al passato, dove i progetti avevano un anima ed uno spirito ispirato dall’uso marino del mezzo e non da mode o tendenze di modernismo a tutti i costi.