Moitessier, il filosofo dei mari

Josuha Moitessier

Uno dei più grandi navigatori di tutti i tempi è stato certamente Bernard Moitessier, non tanto per le sue imprese veliche, epiche e pionieristiche, che lo hanno visto protagonista sia in regate famose che in interminabili traversate transoceaniche in solitario, ma soprattutto per la dimensione filosofica e spirituale che ha trasmesso a tutti i velisti del mondo durante la sua vita e con le sue opere.

Nato ad Hanoi ( Indocina francese oggi Vietnam) nel  1925 sin da giovanissimo si dedicò alla navigazione girovagando  nel golfo di Siam sopra una piccola giunca a vela da lui stesso costruita. Verso la metà del 1956, dopo varie peripezie nel mare della Cina e nell’oceano Indiano, a causa della guerra che sconvolse la sua terra natia e la perdita di alcuni cari amici vietnamiti, decise di lasciare il sudest asiatico e dopo un naufragio nel mare delle Antille arrivò in Francia, patria originaria dei suoi genitori.

Anche se la vita nella Francia metropolitana non lo stimolava molto, strinse numerose amicizie e trovò lavoro come rappresentante di medicinali. In Francia elaborò il progetto di realizzare una barca d’acciaio. Fece disegnare il progetto da Jean Knocker, dietro suoi suggerimenti, mentre l’industriale Fricaud gli mise a disposizione le attrezzature per la costruzione. Così nacque Joshua (in onore del grande navigatore Joshua Slocum) un robusto ketch armato con due pali telegrafici, con cui impartì lezioni di vela d’altura per mantenersi.

Con Joshua nel 1963 parti per la Polinesia con la moglie Françoise, che aveva sposato due anni prima, per un viaggio di nozze che sulla strada del ritorno (percorrendo la cosiddetta rotta logica) diventerà un’impresa velica straordinaria: la traversata Tahiti – Alicante via Capo Horn un totale di 14.000 miglia senza scalo. Un traguardo assoluto per l’epoca, che lo porterà a scrivere il libro “Copo Horn alla vela”, in onore di questo promontorio attiguo alla Terra del fuoco che rimane ancora oggi, per tutti i velisti, non solo un punto geografico da doppiare, ma una tappa fondamentale della propria vita d’affrontare e superare.
Durante la stesura del resoconto del libro, iniziò a progettare l’impresa più ambiziosa della sua vita, mai tentata prima da nessuno: fare il giro del mondo senza scalo, passando per i tre capi (Buona Speranza, Capo Leeuwin e Capo Horn).

Nello stesso periodo il giornale inglese Sunday Times sponsorizzò la regata intorno al mondo ribattezzata: “The Golden Globe”. Lo scopo della sfida era duplice: premiare il primo navigatore solitario che avrebbe circumnavigato il globo senza scalo, partendo da un qualsiasi porto della Gran Bretagna in una data compresa tra il 1 giugno ed il 30 ottobre 1968 e chi avesse effettuato il periplo nel minor tempo possibile. Questa sfida non poteva non attirare Bernard, dato che il suo progetto coincideva appieno con la regata indetta dal periodico inglese ed inoltre avrebbe potuto confrontarsi coi migliori velisti dell’epoca.
Anche se molto titubante, per il rischio di declassare una sfida eroica a semplice competizione sportiva, vista la posta in palio, Moitessier accettò e decise di partire da Plymouth il 22 agosto 1968. Dopo aver doppiato i tre capi e superato Knox, che era partito con un mese di anticipo ed era sempre stato in testa, con grande stupore del mondo intero, annunciò di non voler ritornare in Europa, abbandonando così la competizione e le 5000 sterline del premio della vittoria che era praticamente sicura, dato l’enorme vantaggio che aveva sui rivali (il Golden Globe fu poi vinto da Robin Knox-Johnston). Le ragioni di questa scelta che ai più apparve folle e da pochi fu compresa, le possiamo trovare nelle poche righe che scrisse alla moglie:

Vorrai certamente sapere perché non sono rientrato in Europa. Il motivo è che nel mondo moderno ci sono troppi dei. Moravia ha mille volte ragione quando scrive che la misura umana è l’universale ed il particolare, e non il gigantesco ed il minimo. Che cosa avrei trovato in Europa? Soltanto il gigantesco che stritola l’uomo ed il minimo che l’abbrutisce. Ecco perché non sono rientrato in Europa. Per non ritornare in Europa, avrei potuto far vela verso le Antille o verso Dakar. Non l’ho fatto perché questi posti, per il momento, non mi attirano, ma soprattutto perché in mare ero felice, perché avevo trovato la pace del mio spirito, una pace totale, profonda, troppo preziosa per dover rischiare di perderla fermandomi “prima del tempo giusto”. Non potevo sopportare l’idea che il mio viaggio dovesse concludersi poche settimane dopo il Capo Horn.

Dopo aver abbandonato la regata del “Golden Globe, quando era a meno di 1500 miglia dal traguardo, proseguì, quindi, per una rotta meridionale superando nuovamente il Capo di Buona Speranza e percorse un altro mezzo giro del mondo, senza scalo, fino a raggiungere il 21 giugno del 1969 dopo ben 37455 miglia ( 69367 km ),a Tahiti, nella Polinesia francese, un’impresa che a tutt’oggi resta ineguagliata e che lo renderà per sempre unico.

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