Quando a metà degli anni sessanta del secolo scorso, lo sport della vela iniziò ad essere seguito dal grande pubblico grazie alle imprese di navigatori solitari, Eric Tabarlay s’impose all’attenzione dei media per le sue vittorie in regate importanti.
Il suo primo successo risale al 1964, quando al timone del Pen Duick II vinse la seconda edizione della Ostar, regata transatlantica in solitario.
La fama che ne conseguì gli regalò la possibilità di diventare uno dei primi navigatori professionisti dell’epoca, anche se il concetto di professionismo puro e i milioni degli sponsor sono una cosa tutta recente.
Comunque sia egli poté dedicarsi totalmente alla vela, progettando imprese ed allenandosi per partecipare alle regate più importanti del globo. Nel 1967 con il Pen Duick III riuscì in un’impresa mai eguagliata: vincere nella stessa stagione il Fastnet e la Sidney – Hobart, due regate tra le più difficili e pericolose al mondo.
Nove anni dopo, con il secondo trionfo nella Ostar, entra definitivamente nell’olimpo della storia della vela, come unico navigatore ad aver vinto per due volte la più difficile regata in solitario.
Nel 1980, dopo una estenuante preparazione mentale e fisica, battè uno dei record più vecchi della vela, quello della traversata atlantica, che resisteva da 75 anni. La sua storia di uomo e di velista incomincia a Nantes nel 1931, dove vive gli anni dell’infanzia insieme alla famiglia.
Il padre anch’egli appassionato di vela possedeva un veliero: Il Pen Duick. Barca con la quale Eric iniziò a tirare i primi bordi e della quale fu segnato il destino, visto che tutte le altre sue barche porteranno questo nome.
La sua fine come la sua vita sono state oggetto di discussioni ed a volte di insensate illazioni. Alcuni credono che l’incidente in mare occorso ad Eric nel 1996, dove perì, non fu un tragico episodio, ma una scelta consapevole e meditata di lasciare il mondo terreno, orami troppo stretto per un navigatore solitario come lui.
Personalmente non credo a questa versione considerando un uomo ed il navigatore come lui, dopo aver affrontato innumerevoli difficoltà in mare, amasse la vita e la vela più di ogni altra cosa.
Del resto non pare credibile la storia della depressione cronica che aveva attanagliato la sua mente, già più volte smentita dai suoi amici più cari.
Molti hanno conosciuto Eric, giudicandolo uomo schivo e di poche parole, ma il suo più grande allievo Philippe Poupon disse di lui:
Pochissimi grandi della vela sanno insegnare e trasmettere amore per ciò che fanno. Tabarly è stato il più grande anche per questo.